Gli uccelli

Un mattino della settimana scorsa mi sono svegliata ricordandomi del sogno che mi aveva tormentato prima che il tzellu trillasse.

Sono nella casa nuova, so che é la casa nuova anche se della vecchia, l’ultima vecchia, ha il balcone chiuso, la posizione della lavatrice, qualche piccolo particolare che ancora mi immelancolisce.
Sono da sola con Dunia, sto mangiando con lei. Non so se sia pranzo o cena, non so che ore siano e nemmeno mi pongo il problema. Non c’é una luce radiante, il cielo é uggioso, grigio, ma la finestra é aperta.

Mi rendo conto che sulla mia lavatrice c’é un uccello immenso, una volta bello e maestoso. Ora sta morendo, nero come pece, ha un polmone forato, respira a fatica, nemmeno ha gli occhi.

Mi fa una pena terribile, ho un po’ paura che sia ammalato, che Dunia si possa contagiare, ma la tenerezza, la pena non mi permettono di cacciare via quell’animale di cui vedo le penne bruciate muoversi al ritmo dell’aria che entra e esce dal polmone ferito.

Guardo fuori dalla finestra. La testa di un aquila grande, bella e maestosa fa capolino. il rapace sembra tranquillo, ma mi fa paura, penso che possa entrare e far male a Dunia. Chiudo la finestra. Vedo ancora la sua sagoma, dietro il vetro opaco.

Ogni volta che cerco di riaprire la finestra, l’aquila é lì, con il suo uncino giallo e nero. Gli occhi acuti mi guardano.
L’ultima volta richiudo la finestra e corro giù al primo piano (ora abito al terzo) dove invece della vicina dalla voce ubriaca, i capelli carota e l’età di mia madre, abita mia madre con la sua migliore amica. Insieme stanno cenando. Anzi Lucia ha già finito da un po’ e sta guardando mia madre spellare un coniglio già cotto del suo pelo folto e morbido. É il secondo coniglio che si sta per mangiare e mi dice di non preoccuparmi e io decido di continuare a tenere l’uccello morente, magari guarirà.

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