tutti uguali davanti alla frontiera

Aspetto cenando da sola le mie lenticchie rosse, sbucciate, con il riso, le spezie, la zucca, il porro e l'aglio. Aspetto, cenando da sola, l'ora di cena quando saremo due a tavola. E io lo guarderò mangiare da dietro il computer. Sono le 11 e mezza passate.  La 2 sta passando Lisboetas, documentario su genti d'altrove venute a Lisbona.

Odio tutto di questo documentario, che forse avrei plaudito ai tempi del cine Lumiéré di via Pietralata. Non svolazzavo piú per Bologna quando l'hanno trasferito dalla regia regione del Pratello.

Ma, ORA, odio questo documentario. Vite di gente dagli occhi languidi, nostalgici, ma sicuramente incapaci di contenere la saudade da alma portuguesa. Poveri in soldi e documenti; analfabeti del neolatino che dicono una palavra di ogni nazione, dalle alpi triestine all'oceano, azzeccandoci più spesso quando la sorte li ha fatti nascere tra il Danubio e il Mar Nero.

Odio questo documentario, queste immagini pietose di madonne d'avorio, composte nelle loro maternità silenziose, di uomini che si sforzano per uscire dal'incomunicabilità. Il microfono ne cerca la voce distorta dall'impegno. Che bravi sono a provarci! (Che imbecilli sono, non ci riusciranno mai a parlare come noi.)

L'occhio della camera ne cerca la miserabilità, la colonna sonora la aumenta fino a  farmi desiderare di vomitare le mie lenticchie. Io sono come loro. Parliamo male ma parliamo tante più lingue di voi, maledetti registi. Non siamo contenti, ma siamo più coraggiosi di voi, che ve ne state fermi lì, davanti e dentro lo schermo, a giudicarci. A vendere i nostri sogni, abortire le vostre buone idee e i vostri amori.

Lo sento io, con le mie stelline del trattato di Roma nel portafoglio. Figurati chi, anche se viene dalla Polonia continua a sentirsi dare del clandestino. Manco fosse un offesa. Figurati chi, qui, non arriverà mai.

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