hotel contact center

19 settembre »»

Sono affacciata alla finestra di un hotel,
direi di lusso, visto che non mi potrei mai permettere un hotel del
genere, nemmeno con il salario minimo, figuriamoci con il semplice
sussidio di trasporto+pasto che mi compete e per il quale nessuno mi ha
ancora contrattato. Ciononostante, questa é la chefa migliore
che sia mai capitata a governare il mio precariato, esclusi i tempi di
Radio Città dove non mi sentivo precaria ma, forse, freelance e il capo
era Lenin che campeggiava a pastello sul lato destro del portoncino di
quel seminterrato in via Masi a Bologna.

Oggi
sono vestita da executive, con borsetta executive e scarpetta
executive. Tutto comprato nella classe turistica dello shopping.
Finanzieri e conferenzieri europei mi girano attorno, fumando e
telefonando. Uomini in livrea continuano a far pulizia sui tavoli delle
pause caffé. Vedo persone sforzarsi di parlare british, gesticolando in
italiano. Mi fanno tenerezza mentre penso al mio code-switching
inceppato tra portoghese e inglese.

Non sono nemmeno le 5 e il
sole sta tramontando dietro i nuvoloni obesi di grigio, acqua e sporco
della città. Il riflesso di me stessa contro il vetro si fa sempre piú
nitido. Presto smetterò di poter veder fuori, l'altro hotel che os pretos,
i neri, stanno costruendo. Non telefonano e fumano molto meno di questi
finanzieri e conferenzieri. Da questa finestra ho visto oggi crescere
un muro, mangiando frutta fresca e bevendo succo d'arancia. Nemmeno
loro riusciranno a prendersi le ferie in un hotel come questo, dove
anche i capi delle piccole agenzie di pubbliche relazioni rubano i
resti del buffet.

20 settembre »»

Sono arrivata trafelata, sull'orlo del ritardo: ho caldo. 

Un
uomo interrompe per un attimo una conversazione telefonica in una
lingua dell' est per dirmi: "keep smiling". Gli rispondo semplicemente
che mi sto ancora svegliando, inghiottendo il mio "fanculo",
meritatissimo.

La macchina di nuovo rotta, il triangolo
d'emergenza in piena ora di punta, carreggiata a una corsia per ogni
senso di marcia. L'assistenza tecnica in viaggio che non assiste, la
polizia che mi parcheggia il mezzo fino a data da destinarsi. Il treno,
la metro, i piedi dentro le scarpine nuove che chiedono solo:
incerottami, please.

Aspetto che tutti i bancari entrino,
rivolgo 4 frasi stentate nel mio english now not avaliable a mr.
Johnatan. May I close the door? Sollievo. Vado in bagno, i cerotti di
silicone del dott. S*** salveranno le prossime 12 ore di sapatinhos,
gli stessi che la mia piccola ieri ha messo, girando tra la sala e
cucina, con la stessa abilità che ho io a ciabattare su tacchi di cm 2
(tanti?). Controllo i miei peli (che oggi c'é l'inaugurazione
dell'esposizione di decorazione, allestita perché il jet-set ci
entri
per farsi fotografare da me e appaia poi su riviste
leggi-e-getta-il-tuo-cervello a cui la piccola impresa di pr passerà le
immagini per gentile concessione di – tanta mia tristezza), mi trucco, and finally piscio.

Torno
alla mia postazione, dietro il cartellino che recita S*** Hotels – Anna
Rossi, autorizzazione per ogni passante a chiedermi cose: breakfast
buffet? casa de banho? telefone?  Mi tolgo le scarpe sotto il tavolino,
loro non lo sanno ma io mica lavoro qui.

Ho freddo, mi rimetto la
giacca executive. Hanno acceso l'A/C: microclima adattato a uomini
medio-corplenti, con giaca e probabile cravatta strangola-cani accessoria, con
portatile/valigetta e possibilmente valigia con le ruotine.

I
neri che costruiscono l'hotel di fronte alle mie spalle, spariscono
dietro le pareti in costruzione. Nella sala casteloX Hello Kitty
presenta la nuova collezione e prepara i salatini. Oggi lasceró questo
posto prima di pranzo. Ieri mi sono seduta con 3 signore, a cui in
Italia avrei dato del tu, mentre qui nemmeno basta usare la terza
persona, dire e.g. "você quer" (lei vuole) é troppo aggressivo, bisogna
dire "a senhora quer" (la signora vuole) . Al
tavolo c'erano tante forchette e coltelli e cucchiai. Sembrava di stare
ad una tavola di bambine che giocavano a fare le padrone di casa che
prendono
il te. Prodigate in tanti formalismi verbali, tutte indecise sulle
posate da scegliere. 

Lisbona sta diventando, per le imprese europee, un luogo dove organizzare eventi e indirizzare outsourcing, si rivela algo barato,
conveniente. Dormire in un hotel di lusso, pagare un 5 stelle é, per un
europeo dei 13 (ossia dei 15, meno  portoghesi e greci), un
affare da poco. Lisbona offre scenario, entertainment, lusso e possibilità di allacciare buoni contatti.

Forse
puó dare qualcosa anche a me. Per il momento ho deciso di uscire allo
scoperto, continuando a recitare una parte che non mi appartiene,
pur sapendoci entrare. Aspetto gli eventi: mi aspetto di trovare
conversazioni vuote, donne sorridenti, con manicure e capello
impeccabili, bracciali e anelli, ad affogare in calici leggeri xanax,
valium e vesciche ai piedi, castigati da tacchi sputnik e fibbie
cangianti; mi aspetto, con humor negro, uomini che vorrebbero essere come loro.

Ho giá mal di testa, sento giá l'odore delle mie ascelle. Ma non importa, poi devo cambiare d'abito.

This entry was posted in improvvise. Bookmark the permalink.